lunedì 11 maggio 2020

Editoriale Ongaico - Game Studies: le regole fondamentali per divertirsi


I giochi sono un argomento molto caro, sia ai Gatti Ongaici, sia ai loro Umani da Compagnia.
Ho intervistato Mauro Vanetti, Sviluppatore di software e professore a contratto di Game Design alla NABA di Milano, che approfondirà alcuni aspetti dell'attività ludica.

Nell'ambito dei giochi, Di cosa ti occupi esattamente?

MAURO: Come giocatore, di giochi di ogni tipo tranne quelli faticosi o d'azzardo. Professionalmente, sono un piccolo autore di videogiochi e di giochi da tavolo: ho lavorato su un videogioco per telefonini di tema aritmetico e su un gioco di carte sul tentato golpe di destra Borghese (Colpo di Stato). Sto anche tenendo un corso universitario sulla progettazione di giochi digitali.

Progettazione... questo sì che sembra faticoso 😉! Quanto è importante e quanto occupa la fase di progettazione? Per giocare ci serve davvero tutto questo?

MAURO: I giochi vengono progettati continuamente in modo spontaneo dai bambini: ogni bambino è un game designer, perché inventa nuovi giochi o precisa e corregge le regole di giochi già esistenti, quindi a volte la progettazione ludica è un'attività molto semplice e quasi spontanea, che si fa in un attimo. Ci sono però giochi più complessi o più vasti che richiedono un impegno di tipo professionale. Ho partecipato a numerose "game jam" che sono eventi in cui piccole squadre di poche persone improvvisano in 48 ore un prototipo di videogioco, e a volte vengono piuttosto carini. La mia prima game jam per esempio ha fatto questo, che mi piace ancora molto. Per fare un gioco digitale però ci possono volere anche anni e il lavoro di decine o centinaia di persone, come un film. Anche i giochi da tavolo a volte richiedono uno sforzo molto grande, soprattutto per il bilanciamento, cioè la ricerca di un funzionamento ottimale di tutti i vari componenti e regole, che non può essere ottenuto al primo colpo ma che richiede in genere molto collaudo.
Faccio un esempio: se decidiamo che per il resto dell'intervista dobbiamo evitare la lettera Q e il primo che la scrive ha perso, stiamo già facendo una specie di gioco e l'ho progettato adesso in - quanto? tre secondi? Si comincia ORA altrimenti avrei già perso!

Hai menzionato "giochi più complessi" con una lunga preparazione, il che mi riporta al tema delle regole. È fondamentale un regolamento per giocare?  Ad esempio, nel momento in cui mi hai lanciato la sfida hai specificato "si inizia ora", altrimenti avresti perso in partenza. Si può dire che abbiamo bisogno di una struttura che regolamenti la nostra spontaneità?
Mi viene in mente nel libro "La Storia Infinita" il personaggio degli Uzzolini. Loro, essendo per natura incapaci di darsi regole, finiscono per annoiarsi a morte perché non riescono a giocare... È così anche per noi?

MAURO: 'Sti Uzzolini non me li ricordavo, forse perché ho solo visto il film!
Il tema delle regole è dibattutissimo. Secondo alcuni teorici sono essenziali per poter parlare di gioco nel senso di "game", mentre esiste anche un gioco non strutturato, che in inglese si dice "play", che funziona anche senza regole.
Io, che non sono un teorico autorevole sul tema, mi sono fatto un'idea personale, e cioè che il gioco (anche inteso come game) è un sistema entro cui i giocatori fanno delle esperienze di un certo tipo (dette, appunto, ludiche) e perchè ciò accada le regole non sono essenziali, ma solo uno dei vari modi per produrre tali esperienze. Per esempio un videogioco di solito non ha un regolamento che devo seguire, io lo uso e ci faccio ciò che mi pare. Ci pensa poi il gioco a permettermi alcune azioni e non altre. Alcuni dicono che ciò significa che esso ha "regole implicite" o "regole forzate" iscritte nel suo algoritmo, nel codice del programma, ma mi sembra un ragionamento furbetto: prima dico che le regole sono essenziali, poi però se trovo un gioco senza regolamento dico che ci sono ma sono invisibili. 
Lo stesso vale per le "regole non dette", che abbondano in tutti i giochi. Se gioco a nascondino, ad esempio, non posso prendere un taxi e scappare in Francia: non viene detto nelle regole ma è sottinteso... Però davvero non scappo in Francia per il fatto che è una "regola non detta"? o piuttosto non lo faccio perché voglio divertirmi a farmi cercare in posti dove potrei essere trovato? Nel secondo caso io non vado in Francia solo perché facendolo sarei introvabile e rovinerei il gioco a tutti.
Alla fine la cosa che ci interessa davvero, da game designer, è far fare ai giocatori delle attività speciali, diverse dalla vita ordinaria... Delle attività "inutili".

Si può dire che l'unica regola che vale la pena di rispettare sia il divertimento, inteso come buona riuscita dell'esperienza ludica. Mi ricordo, a proposito delle "regole forzate" nei videogiochi, le ore passate su Monkey Island per vedere se era vero che il protagonista non poteva morire!

MAURO: E poteva?

No. Ma concentriamoci sull'aspetto della presunta "inutilità". È un classico associare il gioco ai bambini: sebbene sia chiaro ai più che non sono solo i piccoli a giocare, tendiamo ugualmente a collocare l'esperienza ludica sul piano del superfluo o peggio dell'infantile.
Personalmente, la trovo una posizione non realistica, forse addirittura per così dire... "bacchettona". Tu come la vedi?

MAURO: Anche lì penso che siamo di fronte a un errore di prospettiva. La vita dei bambini è dominata dal gioco perché non lavorano. Non c'entra col fatto che il gioco sia un'attività specificamente infantile. Il gioco è un'attività "improduttiva" ed è per questo che ci sembra da bambini, da anziani (le infinite partite a briscola chiamata dei vecchi nelle osterie, o a bocce) o al massimo da vacanza. C'è anche un elemento di moralismo produttivista contro le cosiddette "perdite di tempo".
La disciplina degli studi sul gioco ("game studies") nasce nel Novecento proprio in rottura con tale approccio sminuente del gioco adulto, un approccio infondato ma che è stato dominante per secoli. In realtà il gioco è un'attività universale e persistente per tutta la vita di tutti gli esseri umani, almeno in una certa misura. 
Tra l'altro si potrebbe dire che in un certo senso il sesso, che è invece una cosa associata alla vita adulta, abbia molti elementi del gioco: sicuramente sono entrambi nemici giurati dell'attività produttiva, del lavoro utile! Però il gioco-game non è semplicemente ozio, è una forma particolare di ozio. Per certi versi è un ozio indirettamente utile, tra molte virgolette. Il piacere del gioco è molto legato all'apprendimento. Anche questo aspetto rafforza l'associazione spuria con l'infanzia, ma chi ha detto che si smetta d'imparare quando si cresce? Gli esseri umani sono tra gli animali più capaci di apprendere anche da anziani: abbiamo un cervello particolarmente adatto ad imparare continuamente, anche se è vero che da piccoli impariamo più cose.

Infatti i latini parlavano di "otium" nel senso di "tempo libero da impegni pubblici" e lo collegavano a "pace, calma e tranquillità"... Pensa che dall'otium prendeva le mosse nientemeno che il pensiero filosofico!
Credo che nella stessa categoria ricadano i disegni, i fumetti (da cui è caratterizzata l'attività di questo blog) e, più in generale, ogni forma d'arte che non ha un "valore riconosciuto".
Però la lettura no, anzi, viene incentivata. Sei d'accordo? E se sì perché secondo te succede così?

MAURO: Lo stigma su alcuni media rispetto ad altri è sempre un fenomeno per me misterioso. Di solito è soprattutto ignoranza: i media più vituperati sono quelli che sono molto fruiti da una parte di popolazione e per niente da un'altra. Se poi la distribuzione della fruizione segue le linee generazionali... è fatta!
So ad ogni modo che in passato, negli anni in cui negli USA cominciarono a diffondersi i romanzi per ragazzi, anche la lettura era mal vista dai grandi. Si riteneva che i romanzi d'avventura fossero una perdita di tempo che distoglieva dallo studio o, al massimo, da una sana attività all'aria aperta.

Come la volpe che non arriva all'uva, insomma! Per concludere, visto che al momento è invece l'attività all'aperto ad essere scoraggiata 😉, ci puoi consigliare alcuni testi semplici da leggere sull'argomento?

MAURO: Ho molti libri sul gioco e sul game design, ma devo dire che sono quasi tutti in inglese. 
Uno semplice e con tanti disegni, che si legge pressoché come un fumetto, è A Theory of Fun for Game Design di Raph Koster. Lì si espone la teoria che la soddisfazione che si prova giocando (che Koster chiama "fun") è dovuta all'imparare i meccanismi del gioco stesso o del mondo di cui il gioco parla. Ho trovato molto bello anche Rules of Play di Katie Salen ed Eric Zimmermann: un grande classico che parla tanto anche di giochi di cortile, ma è un mattone di 600 pagine. Va detto che un bel po' di queste pagine sono dedicate ai regolamenti di giochi inediti.
C'è anche The Game Design Reader. Quest'ultimo ha un'antologia di complemento, che contiene brani da tutti i classici dei game studies. Anche quello è un mattone. 
E poi, naturalmente, il libro contro il gioco d'azzardo che ho scritto coi miei tre complici del Collettivo Senza Slot alcuni anni fa. Probabilmente dovete ordinarlo in libreria o online, si chiama Vivere Senza Slot, e perlomeno è in italiano 🙂.
...Aaaaah, mi sono accorto che ho perso il nostro gioco della "lettera proibita"!

D'altra parte, però, come farebbero i lettori a sapere che non ho barato, visto che l'editing spetta a me?

MAURO: Beh, barare in un gioco in cui non c'è niente in palio... quanto sarebbe bieco?

2 commenti:

  1. Ma brava!
    Bell'articolo, divertente e interessante l'argomento. Non avevo mai considerato alcuni aspetti del gioco, le regole non dette ad esempio che ti forzano ad eseguirlo in un determinato modo. Trovo che siano affascinanti da investigare....

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  2. Grazie!
    L'articolo è per buona parte di Mauro, io ho solo avuto l'idea e scelto le domande.
    Credo sia importante rivalutare le attività e le forme d'arte considerate di poco valore o superflue.Di sicuro, proprio per via di questo stigma, sono quelle riguardo a cui c'è più da scoprire!

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