martedì 30 giugno 2020

Editoriale Ongaico - Il film Eliza Graves tra psichiatria e diritti umani



Il film Eliza Graves, che di recente ho rivisto, ha riportato la mia attenzione sul tema della psichiatria, argomento che già da tempo popola le mie riflessioni e che vorrei proporre anche qui, a conclusione del mese di sensibilizzazione sulle fragilità psicologiche.

Nonostante in confronto al passato i disturbi mentali sono meno percepiti come un tabù, restano comunque oggetto di pregiudizi e di convinzioni errate da parte di molti. Prima tra tutte quella secondo cui sintomi e manifestazioni esterne debbano essere contenute.

Va detto che questa esigenza è forse dettata più dagli standard richiesti per inserirsi in società, che da un reale pericolo per il paziente, ma di certo la cura è molto spesso peggio del problema.È importante specificare che ad oggi il campo della psichiatria è ancora in piena fase di ricerca e che non è sempre possibile con gli strumenti a disposizione arrivare a diagnosi inequivocabili, né tantomeno a terapie calibrate sul caso specifico. Nel film in questione, ad esempio, vediamo come i trattamenti proposti, spesso imposti, si basino soprattutto su linee guida generali, che si dimostrano inefficaci sullo specifico paziente, risultando così più simili a una punizione che a una terapia. Voglio sottolineare la parola "punizione", a significare che gli atteggiamenti cosiddetti "problematici", (forse addirittura la stessa malattia) sono percepiti più come una colpa che come un disagio.

Si potrebbe rispondere che questa situazione sia legata al secolo scorso, epoca in cui è ambientata la storia, ma siamo sicuri che sia proprio così? Trattamenti altamente invasivi, come l'elettroshock, sono ancora praticati, talvolta anche in Paesi progrediti. Altri, come la sedazione profonda, sono stati dichiarati incompatibili con il rispetto dei diritti dell'uomo solo negli ultimi anni, e non senza strenue battaglie legali.
E da noi? Se è pur vero che la legge Basaglia ha dichiarato superata la logica della costrizione, dicendo che "ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione", non sono sicura che il trattamento sanitario obbligatorio sia una procedura compatibile con i principi affermati qui e tutelati dalla Costituzione stessa. Anche se volessimo considerare gli abusi passati all'attenzione dei media come degli episodi isolati - a dispetto delle numerose testimonianze attendibili - sono convinta che nel ricovero coatto si insinuino sia dei problemi a livello etico, sia delle gravissime violazioni della procedura prevista dalla legge.

Altro tema scottante è quello delle terapie farmacologiche, specialmente quando molto impattanti, che vengono talvolta prescritte senza che il paziente abbia una chiara percezione degli effetti a cui andrà incontro. Capita anche che si instauri una sorta di ricatto, tale per cui il rifiuto del farmaco si debba scontrare con minacce di TSO. Oltre ai dubbi - di carattere personale - già espressi in merito alla reale efficacia delle medicine in ambito psichiatrico (credo siano volte più alla soppressione del sintomo che alla risoluzione del disturbo), trovo particolarmente sbagliata la prassi, assolutamente comune, della ricerca del consenso attraverso tecniche fuorvianti o tramite un'informazione non completa. In altre parole, se molti pazienti sono restii ad accettare un dato trattamento, non sarà per l'incidenza troppo pesante delle controindicazioni?

Proprio in un contesto dove l'empatia potrebbe aiutarci ad imboccare la strada verso metodi più umani di superamento del disagio, il film Eliza Graves, grazie a ripetuti cambi di prospettiva in senso narrativo, consente allo spettatore di immedesimarsi sia nel medico, sia nel paziente. Allora come ora, schierati su due parti polarmente opposte di un'immaginaria barricata. Quando, come ha dichiarato Giorgio Antonucci, «Non esistono i problemi psichiatrici, esistono i problemi umani e i problemi umani si risolvono col dialogo, con l'ascolto, non con la coercizione e la repressione come ancora si fa in psichiatria.»
(Fonte: CCDU - Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani)

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