martedì 4 giugno 2019

Ricostruzioni Filosofiche - Nani sulle spalle dei giganti






8 commenti:

  1. Bel disegno....
    quindi i gatti, grazie alla loro componente umana, sono più evoluti?

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  2. Mah... era un modo per coinvolgere "determinati personaggi" (che non menziono per evitare anticipazioni indesiderate) in questa Ricostruzione.
    Secondo me ci stava bene perchè loro nella storia "la sanno lunga"... però direi che la distinzione tra gatti e umani è a tratti molto labile!

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  3. Mah?... parto anch'io con mah?... Se guardiamo bene il disegno, Miranda non sta sulle spalle degli umani, ma tiene le sue zampine ben salde sulla cancellata. Per provare a capire cosa vuole dirci dobbiamo fare un passo indietro, partendo dall'origine della metafora.

    Se Bernardo di Chartres e’ considerato il padre della metafora, le sue origini sono molto più antiche e vanno fatte risalire almeno alla mitologia greco-romana col gigante Orione che, una volta accecato, riacquistò la vista grazie alla guida di Cedalione che, seduto sulle sue spalle, lo guidò verso chi gli ridiede la vista. La storia venne quindi ripresa in tempi medioevali, poi dal nostro Bernardo, da Nietzche, da Newton e da molti altri ancora.

    Un così grande numero di autori lascia aperta la porta a possibili diverse interpretazioni sul significato da attribuire all'aforisma. Se per Bernardo i nani, sfruttando il lavoro dei giganti del passato, possono vedere più cose e più lontano; per Nietzche invece il nano, anche se scala il monte sulle spalle del gigante, alla fine non coglie l’impresa e rimane “nano”. Altre interpretazioni più recenti ne traggono uno stimolo all'autonomia: se ci sono stati giganti nel passato, gigante possono diventare anche i contemporanei [Eco]; altre vedono il nano di Nietzche che, soffrendo la quota, cade dalle spalle del gigante e nasconde la sua “grassa” ignoranza con l’egoismo, l’arroganza o le moderne tecnologie. Anch'io ho una mia originale lettura, ma mi riservo di esporla in altra occasione.

    Fatte queste premesse possiamo tornare alla nostra Miranda. Credo che lei abbia letto qualcosa di Eco. Infatti, sarà anche salita in alto appoggiandosi alle spalle degli umani ma, raggiunta la quota, non fidandosi molto della loro solidità, tiene le sue zampine ben serrate su qualcosa di molto più solido di un paio di spalle. Se vogliamo Miranda ci dice di cooperare con chi ci sta intorno, ma senza riporvi una fiducia cieca e soprattutto senza fermarsi al primo gradino, ma in autonomia cercare quote sempre più elevate.

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    1. Bravi entrambi che avete scritto l'attribuzione della citazione. Io non l'ho fatto perchè volevo concentrarmi più che altro sul contenuto, visto che in epoca medievale ha completamente rivoluzionato il rapporto rispetto all'auctoritas (ovvero, in sostanza, i nostri maestri).

      Credo che quando la metafora ha preso piede (e qui concordo con Protagora nel dire che il "chi" l'ha creata non sia poi così importante, perchè la portata della frase va oltre) il fatto di poter anche solo pensare di "vedere oltre" gli antichi fosse un concetto talmente innovativo, che per forza di cose ha dovuto essere attenuato "abbassando la statura" dei contemporanei. Come se il buon Bernardo avesse pensato: "già rischio di passare per superbo dicendo che i maestri possono essere superati, almeno aggiungiamo che se vediamo oltre è per merito loro, e non perchè siamo meglio noi"!
      Chiaramente nel Ventunesimo Secolo il rispetto-venerazione verso chi ci precede per fortuna è stato scardinato, perchè nel passato si trattava di una vera e propria sudditanza psicologica. Proprio per questo anche io mi schiero con Eco e forse, seppure inconsapevolmente, questo è anche il motivo per cui ho disegnato Miranda ben appoggiata al cancello. Rimane però il fatto che l'aforisma in questione è stato il primo di tanti passi verso una visione più moderna ed equilibrata del passato, anzi, forse è stato proprio in virtù del suo essere così "soft" che ha potuto prendere piede.

      Personalmente, da donna che vive in questo tempo, i quesiti che mi pongo in merito non riguardano tanto il rapporto col passato, ma il rapporto con l'esperienza, o con chi, si dice, abbia "più esperienza".
      Ancora troppo spesso i nuovi, chi è appena arrivato in un ambiente (lavorativo o amicale), non vengono ascoltati A PRESCINDERE dalla loro preparazione. Ancora troppo spesso il nostro Paese è teatro di gavette interminabili che scoraggiano molta gente dal mettersi in gioco. Ancora troppo spesso sono i figli che devono imparare dai genitori e mai viceversa, in un rapporto di dipendenza che rischia di non affrancarsi mai...

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    2. Anch'io da "adolescente" la pensavamo come te.
      I genitori.... pussa via! Sempre a tenermi d'occhio....fai questo, non fare quello...
      Poi crescendo ho capito che tutte le prediche avevano un solo scopo...quello di "proteggermi" o meglio di darmi gli strumenti per cavarmela da solo.
      E questo, col senno di poi, è solo amore!

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    3. Sei fortunato, perchè un rapporto sano con la famiglia di origine facilita la crescita e la maturazione e ci risparmia qualche sofferenza nel processo che ci porta ad essere gli uomini e le donne che siamo. Purtroppo non è sempre così e, ad esempio, molti insegnanti che si trovano ad avere a che fare con genitori problematici (anzichè con studenti problematici) te lo possono confermare ;-3
      Nella fattispecie però io mi riferivo ad un ideale rapporto del prototipo "allievo - figlio" con il prototipo "maestro - genitore" che, a parer mio, dovrebbe essere improntato allo scambio, senza quel distacco che rischia di portare chi apprende a non riuscire mai a fare a meno della guida.

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    4. Nella tua precedente risposta del 7 Giugno, hai toccato diversi punti a cui non avevo pensato quali: l’importanza o meno dell’origine di una metafora, la venerazione del passato come limite allo sviluppo, il conflitto tra esperienza e innovazione. Tutti temi interessanti da sviluppare, ma spendo due parole sull'importanza di un messaggio dal tono soft che citi nella tua risposta. Spesso gli altri ci guardano come noi guardiamo loro. Un semplice esperimento e’ camminare per strada prima con sguardo sorridente e sereno poi arcigno e minaccioso: i passanti ci guarderanno in accordo a come noi guardiamo loro. Questo fenomeno non avviene per caso, ma come ebbe a scrivere Ermete Trismegisto: «ciò che è sotto è identico a ciò che è sopra e ciò che è sopra è identico a ciò che è sotto», quindi in molti ritengono che noi siamo dentro, come appariamo fuori. Questa assunzione e’ vera? NO in diversi casi, ma anche SI in almeno altrettanti e in fondo, se un nostro atteggiamento può esserci d’aiuto a trasmettere un messaggio perché rinunciarci?
      E qui ritorniamo al nostro buon Bernardo, o a tutti coloro che vorrebbero trasmettere un messaggio positivo: se il messaggio e’ urlato, violento, volgare sarà sicuramente bene accolto ma, ahimè, non dalle persone a cui volevamo indirizzarlo. Lo stesso messaggio detto umilmente e “a bassa voce” ha molte più probabilità di essere accolto, integrato e quindi sviluppato. Dunque, complimenti Bernardo, ben fatto!

      Ancora in tema di tono del messaggio, quanto appena detto influenza anche il nostro “rapporto con l’esperienza” che citi sempre nella tua risposta. L’Esperienza (in maiuscolo) essendo costituita dai famigliari, dagli insegnanti, dai colleghi anziani, etc può essere trattata come se fosse una persona, possiamo allora chiederci: «come ci atteggiamo di fronte all'Esperienza?» Se la guardiamo a “muso duro” non ci sarà per certo amica. Se le sorridiamo, magari anche solo di circostanza, collaborerà almeno al 50%. Ma i risultati migliori li avremo se saremo convinti del suo possibile, e sottolineo possibile, cioè potenziale, contributo positivo. Ascoltiamo e riflettiamo allora su cosa ci dice l’Esperienza, potremo essere d’accordo o meno, potremo aver ragione o torto, potremo anche avere conflitti, tutto ciò non ha importanza, importante sarà porsi nel rapporto in un’ottica positiva e costruttiva, traendo così vantaggio dalla potenzialità. Bernardo docet!

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